Chi l’avrebbe mai detto che un colosso dell’online come Shein avrebbe fatto così tanto rumore (e non solo nelle nostre wishlist)? Eppure, secondo uno studio di Oxford Economics, nel 2023 l’azienda ha tirato fuori dal cilindro 302 milioni di euro di contributo al PIL italiano, generando oltre 1.000 posti di lavoro. Insomma, altro che “fast fashion”: qui parliamo di un impatto che fa impallidire i nostri doposci più fluffy.
E non è tutto: Shein collabora con fornitori locali (giusto per non farsi mancare un tocco di “made in Italy” nel guardaroba), regalando ulteriori 98 milioni di euro di valore aggiunto all’economia nazionale. Se pensavate che bastasse un e-commerce per far arrivare i pacchettini magici a casa, ecco qui la verità: dietro la logistica ci sono persone, posti di lavoro e una certa dose di pianificazione che nemmeno quando cerchiamo l’outfit perfetto per il matrimonio dell’amica.
A livello europeo, la musica diventa ancora più movimentata: ben 1,1 miliardi di euro di contributo al PIL dell’UE, con più di 6.100 posti di lavoro diretti e indiretti. E, come a voler dire “sempre meglio abbondare che deficere”, Shein in Italia ha pure aperto una sede centrale e un centro di distribuzione a Stradella (PV), servendo alla grande il Sud Europa (Italia, Spagna e Portogallo) e creando centinaia di nuovi impieghi – potremmo quasi gridare al miracolo.
Non contenta, l’azienda ha pure deciso di coccolare i designer italiani con il programma di incubazione Shein X, a cui hanno aderito 155 creativi. Le loro creazioni? Ora sparse in oltre 150 mercati globali, facendo esplodere (in senso metaforico, per carità) lo stile nostrano sulle passerelle digitali di mezzo mondo.
Insomma, tra shopping compulsivo, pacchetti che arrivano puntuali come un brunch domenicale e qualche scetticismo che aleggia nell’aria, Shein si è ritagliata un posticino niente male nell’economia italiana. E se il contributo al PIL sembra un numero da capogiro, pensate alla prossima volta che cliccherete “aggiungi al carrello”: dietro quell’iconcina ci sono imprese, designer e, perché no, un pizzico di fashion-craziness tutta nostrana.