La truffa delle capsule wardrobe: 10 capi, 0 personalità

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C’era una volta lo stile personale. Poi arrivò Pinterest, e tutti vissero infelici e vestiti di beige.

Benvenuti nel mondo della capsule wardrobe, ovvero quel concetto che promette di rivoluzionare la tua vita con “solo 10 capi essenziali”, da mixare tra loro in infinite combinazioni. Spoiler: infinite non lo sono mai, e dopo tre settimane sembri bloccato in un episodio ciclico di Black Mirror ambientato nell’armadio di un manichino di Zara.

Il mito del “meno è meglio” (se sei un algoritmo)

Ci hanno fatto credere che vestirsi ogni giorno con gli stessi pantaloni, lo stesso maglione e le stesse sneakers bianche fosse sinonimo di classe, eleganza, e addirittura… intelligenza. Perché “così non devi pensare a cosa metterti, risparmi tempo”. Certo, come no. Peccato che quello stesso tempo lo perdi a cercare l’unica maglietta non grigia in mezzo a un’orgia di toni neutri e tessuti simili alla carta da forno.

Steve Jobs lo faceva, dicono. Già, ma lui stava inventando l’iPhone, tu stai solo cercando di arrivare in orario al brunch.

Beige, grigio, bianco: i colori dell’anima… spenta

Nella capsule wardrobe ideale, ogni pezzo è pensato per essere “versatile”. Traduzione: noioso. Non esiste spazio per il colore, per il rischio, per quel cappotto vintage anni ’80 che ti fa sentire un po’ Anna Wintour e un po’ rockstar decaduta. No, nella capsula tutto è uniforme, “armonico” e, soprattutto, Instagrammabile. Perché Dio ce ne scampi da un look che non si abbini al feed.

Uniformarsi per distinguersi: geniale!

La contraddizione più esilarante? Molti abbracciano il minimalismo per “ritrovare sé stessi”. Peccato che alla fine ci ritroviamo tutti vestiti uguali: pantalone nero, t-shirt bianca, blazer cammello. Il massimo della trasgressione? Una camicia a righe. Verticali, ovviamente. Non sia mai si generi confusione.

Lo chiamano stile senza tempo. A volte sembra solo stile senza vita.

La verità taciuta: costa (e inquina) lo stesso

La capsule wardrobe si vende come soluzione sostenibile. Ma quanti, presi dalla foga “decluttering”, buttano metà armadio per rimpiazzarlo con “i capi giusti”? Spoiler: è comunque consumismo. Solo mascherato da superiorità morale e palette monocromatiche.

E poi diciamolo: comprare “meno ma meglio” spesso significa spendere il triplo per una t-shirt color avena che ti fa sembrare un barattolo di hummus. Viva l’eco-chic.

Conclusione: rivolta armata (di fantasia)

La moda è anche espressione, gioco, ribellione. E non c’è nulla di ribelle nell’avere un guardaroba che sembra il catalogo di un brand scandinavo con crisi esistenziale. Se vestirsi è davvero un modo per raccontare chi siamo, allora usciamo da questa capsula e torniamo a indossare ciò che ci diverte, anche se non “sta bene con tutto”.

Basta con i look da showroom minimal. È ora di ricordare che lo stile non si riduce a una formula preconfezionata, e non dovrebbe mai essere così… educato.

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