Dal 20° secolo, l’abbigliamento è stato sempre più considerato un bene usa e getta e il settore è diventato altamente globalizzato, con capi spesso progettati in un paese, fabbricati in un altro e venduti in tutto il mondo a un ritmo sempre crescente.
Nel modello di business noto come fast fashion i produttori di abbigliamento sfornano nuovi stili in un ciclo sempre più breve, offrendoli a prezzi così bassi – come 3 € per una maglietta o 15 € per i jeans, 10 € per un abito lungo – che i consumatori acquistano sempre più articoli, a volte usufruendone solo pochi.
A rendere più accesa questa sfida, alcuni protagonisti moderni come il colosso Shein e l’ultimo arrivato Temu che, grazie alla loro abilità nel mantenere prezzi competitivi, si sono imposti nell’ecosistema ultra fast, costringendo brand concorrenti a destreggiarsi nella gara al ribasso.
Shein, le cifre del successo
Fino a 6 mila nuovi capi e accessori ogni giorno ad un prezzo medio di 7 euro. L’obiettivo? Accontentare gli oltre 150 milioni di utenti in tutto il mondo. Solamente tra il 1 gennaio e il 22 agosto 2023, l’app è stata scaricata 175 milioni di volte in tutto il mondo. Entro il 2025 la società punta a un fatturato di 60 miliardi di dollari e, stando alle stime, per lo stesso anno sono attesi 261 milioni di consumatori.
Il suo segreto è immettere nel mercato nuove collezioni in continuazione, sfruttando la capacità degli algoritmi di intercettare le ultime tendenze prima dei competitor. Acquisendo informazioni sui suoi utenti e sui gusti del momento, Shein è addirittura in grado di scoprire cosa vorremo indossare, forse ancora prima di noi.

Temu, le cifre del successo
Temu è un mercato online gestito dalla società di e-commerce cinese PDD Holdings che ha registrato ricavi superiori del 66%, rispetto alle previsioni e un fatturato, nel secondo trimestre del 2023, pari a 52,3 miliardi di yuan, vale a dire 7,2 miliardi di dollari, superando dunque la stima di 43,3 miliardi di yuan. In forte crescita anche il valore lordo della merce (GMV) di Temu, salito da 3 a 192 milioni di dollari tra settembre e gennaio.
Il nome Temu, che si pronuncia ti-mu, riflette il concept dell’azienda: Team Up, Price Down. Che tradotto significa: Unisciti, Abbassa il Prezzo. L’obiettivo è infatti incentivare all’estremo gli acquisti con un meccanismo semplice e automatico: più utenti comprano lo stesso prodotto e più il suo prezzo si riduce.
Il risultato è un’esperienza di shopping innovativa: ai potenziali clienti vengono consigliati prodotti da acquistare che ne dovrebbero rispecchiare interessi e preferenze, già minuziosamente elaborati da un algoritmo. Il tutto, condito da una dose di gioco e intrattenimento: coupon, codici sconto, offerte a tempo e mini-giochi per guadagnare crediti virtuali con il solo obiettivo di farci acquistare ancora e a prezzi sempre più vantaggiosi.

Escalation nella guerra del fast fashion
La vicenda è iniziata a dicembre 2022, quando Shein ha citato Temu per violazione della proprietà intellettuale. In particolare, Shein ha accusato Temu di aver ingannato i consumatori facendo loro credere di essere lo stesso marchio, vendendo presumibilmente prodotti protetti da copyright di Shein e mostrando la parola “Shein” negli annunci di ricerca che portavano al sito web di Temu. L’azienda ha inoltre affermato che Temu è dietro a tre account Twitter ingannevoli, che utilizzano nomi come “Shein_USA” e chiedono ai fan di sostenere “il nuovo Twitter di Shein”, pubblicando al contempo link all’app e al sito web di Temu.
A luglio 2023, Temu contrattacca e accusa Shein di aver contattato diversi partner, costringendoli a firmare degli accordi commerciali secondo i quali questi ultimi avrebbero una sorta di impedimento nel collaborare con Temu. L’accusa, dunque, si basa sulle presunte violazioni delle norme federali contro l’abuso di posizione dominante. In questo modo, Shein avrebbe pesantemente condizionato il mercato: senza concorrenza, i prezzi della merce sarebbero più alti e ci sarebbe meno scelta per i consumatori. In particolare, Temu sostiene che Shein ha chiesto a tutti i suoi oltre 8.000 produttori di firmare accordi di esclusiva e “giuramenti di fedeltà” che impediscono loro di vendere su Temu. In qualità di principale rivenditore di fast fashion, Shein sa che i produttori hanno bisogno del volume di Shein e del suo accesso al mercato statunitense ed è quindi in grado di costringerli a sottoscrivere accordi che li obbligano a non fare affari con Temu”, si legge nella documentazione presentata da Temu.
Shein ora rincara le accuse e cita Temu intentando una causa presso l’Alta Corte di Londra accusando il suo rivale ultra low cost Temu di aver rubato migliaia di immagini dal suo sito web e di violazione del copyright. Shein ha affermato di aver “identificato migliaia di casi” in cui i venditori di Temu avrebbero sfruttato immagini provenienti dalla piattaforma di Shein per commercializzare e vendere i propri prodotti. Temu è stato accusato di “concorrenza sleale” e Shein richiede almeno centomila sterline di risarcimento danni e la rimozione di tutti i post in violazione.

Forse non sorprende, ma le 2 potenze della fast fashion non sembrano unire le forze per superare le comuni difficoltà. Al contrario, la competizione tra Shein e Temu iniziata come una corsa al ribasso ora sfocia in una crescente battaglia legale su ciò che ognuna sostiene essere concorrenza sleale.
Prima di accaparrarsi il ruolo di leader di settore, i due colossi cinesi dovranno lavare i propri panni sporchi in tribunale.